Il blues secondo Agostino Accarrino
Il fondatore della Spolpo Blues Band analizza la situazione di Bolzano "Troppi cavilli per chi fa musica. Stando qui ti diverti, ma non fai strada"
di Daniele Barina
La leggenda vuole che a Clarksdale, contea di Coahoma nello Stato del Mississippi, il cantante e songwriter Robert Johnson abbia venduto l’anima al diavolo, incontrato per caso all’incrocio tra le statali 61 e 49, in cambio della capacità di suonare la chitarra in modo divino, pardon, diabolico.
Comunque sia è proprio allora, a cavallo tra gli anni ’20 e ’30, che il blues diventa se stesso, assumendo quella fisionomia che contaminerà fin da subito altri generi musicali, non ultimo il rock britannico. Chiaro che il blues fu un richiamo forte anche per i musicisti cresciuti in riva all’Adige, arrivando negli Ottanta a rappresentare un divertimento notturno alternativo alla disco (una sirena cui avevano ceduto proprio tanti musicisti neri), buono per cittadini e valligiani non del tutto adusi all’edonismo reaganiano, come intuì la Spolpo Blues Band del cantante Agostino Accarrino, una cover band tutt’ora apprezzata sia in ambito italiano sia tedesco.
Per dirla con Johnny Shines, un ricco borghese dalla vita tranquilla e colma di agi, indipendentemente dal colore della pelle non sarà mai un bluesman: nulla da replicare, Agostino?
Il blues nasce come canto di dolore, un’espressione che potevano vivere solo quelli che ci erano nati. Ma non era solo l’urlo di libertà o di sofferenza, infatti dopo è diventato d’intrattenimento anche per un pubblico bianco. Molti improvvisavano il testo a seconda di chi avevano davanti mentre suonavano, il tipo di pubblico o una ragazza carina. Certo cantando in italiano potremmo esprimere qualcos’altro. La musica però, anche se non afferri tutto, ti dà uno stato d’animo che in definitiva ti toglie il gap della parola…
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