Schlössl, quattro secoli di storia in riva al Talvera
Il mulino di Sant’Antonio produce farine ancora con macine di pietra. Josef Silbernagl: “Un tempo in questa zona c’erano diciotto molini”
di Mauro Sperandio
In un ipotetico manuale di storia economica dell’Alto Adige non potrebbe mancare un capitolo dedicato alla cerealicoltura e, come logica conseguenza, qualche pagina su come i cereali venissero moliti e panificati. Di contadini, mugnai e fornai pare che nessuna epoca possa fare a meno. Tuttavia, come ci dimostra la storia del Mulino Schlössl, nei pressi di ponte Sant’Antonio, la sopravvivenza di queste attività non è semplice e scontata. Se è vero che la famiglia Silbernagl gestisce il piccolo molino da 200 anni, e che questo è attivo da oltre quattro secoli, è vero anche che l’adeguarsi alle mutazioni delle colture e degli allevamenti (e anche della portata dei fiumi...) non è stata questione semplice. Josef Silbernagl, attuale proprietario, ci racconta di come, nascendo al mulino, gli fu impossibile non infarinarsi...
Lei rappresenta la quinta generazione di una famiglia di mugnai. Crede di aver ricevuto in eredità una responsabilità o una fortuna?
Lavoriamo con prodotti naturali e portiamo avanti una tradizione antica: non posso che dirmi fortunato.
Com’è cambiato il lavoro nel molino rispetto a quando, bambino, iniziò a frequentarlo?
All’epoca in cui guardavo affascinato i camion arrivare e scaricare, ci occupavamo principalmente di mangimi, merce che con il tempo è diventata meno importante, visto che si è ridotto il numero dei contadini con animali da cortile. Ora, anche grazie al nostro negozio, vendiamo principalmente farine e cereali interi al dettaglio.
Negli anni le diffuse coltivazione della mela e dell’uva hanno sacrificato la produzione di cerali. In che modo questo ha inciso sul vostro lavoro?
Con la “sparizione” delle coltivazioni di cereali la quasi totalità dei molini ha dovuto chiudere. Nei pochi chilometri di questo tratto del Talvera, un tempo, erano attivi ben diciotto molini, ma adesso siamo rimasti soli. È in corso tuttavia una riscoperta di queste coltivazioni, penso all’iniziativa Regiograno, con farro e segale, e all’impegno di qualche contadino che dal Trentino porta da noi i propri grani a macinare. Al momento però, si tratta ancora di piccoli quantitativi.
In tavola la globalizzazione ha portato svariati cibi un tempo sconosciuti. L’ampliamento del paniere alimentare ha modificato anche la vostra offerta?
Certamente. Ai semi che tradizionalmente erano presenti nel nostro assortimento, come quelli di lino e di miglio, ora si affiancano la quinoa, l’amaranto e la canapa, ma anche il riso. Inoltre, il diffondersi delle intolleranze alimentari e della celiachia ci ha portato a mettere in vendita farine e miscele senza glutine, che interessano anche chi questi problemi non ha.
Il suo lavoro è sostanzialmente uguale a quello di chi nei secoli l’ha preceduta. Sente in qualche modo questo legame?
Sì. Il modo in cui produciamo le nostre farine, macinando e rimacinando semi e cereali assieme alla loro crusca…
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